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Channel: brothers of metal
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LEZIONI DI CIVILTA’: prete donna inglese: “I cristiani imparino dai metallari”

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L’Heavy Metal? Una musica che, grazie alla sua “liberatoria teologia delle tenebre“, aiuta i suoi seguaci a vivere felici facendo prendere loro coscienza del lato oscuro della natura umana. Niente da dire, parole condivisibili, in grado di spiegare con sintesi ed efficacia parte della filosofia alla base della nostra musica. A pronunciarle non è però un addetto ai lavori impegnato nella solita difesa d’ufficio di fronte al Carlo Climati di turno bensì… Un prete. Un prete donna. Trattasi del reverendo Rachel Mann (la chiesa anglicana consente il sacerdozio femminile), che cura le anime dei fedeli della chiesa di Saint Nicholas in quel di Burnage, un ridente sobborgo di Manchester. In un articolo apparso sul settimanale Church Times e poi ripreso dal serissimo quotidiano britannico Daily Telegraph, la donna, metallara dichiarata, non si limita a respingere le accuse di traviare i gggiovani spesso rivolte al metallo, ma si spinge ben oltre. Secondo lei addirittura la comunità cristiana avrebbe molto da imparare dall’heavy metal. Sentite qua. 

“Come prete, come musicista e come heavy metal fan, mi colpisce come la Chiesa, soprattutto in questi tempi disperati, abbia una seria lezione evangelica da imparare dalla musica più oscura e pesante” in quanto le canzoni del nostro genere preferito “non hanno alcun timore di parlare di morte, violenza e distruzione“. E ancora: “La tendenza di questa musica ad affrontare tematiche nichiliste e, a volte, estremamente spiacevoli permette ai suoi fan (descritti come persone “leggiadre, ospitali e gentili“… Beh, signora, ora sta un po’ esagerando) di accettare il prossimo in un modo tale da far impallidire molti cristiani” e “il rifiuto del metal di reprimere le cupe e violente verità della vita libera i suoi fan e li rende gente più rilassata e divertente“.  Insomma, il metallo come colossale Memento Mori, che ricorda a noi tutti la nostra natura finita e mortale. E il legame con la religiosità cristiana d’altri tempi, prosegue il reverendo Mann, è evidente anche nei grandi festival come il Sonisphere (dove il nostro prete preferito racconta di essersi recata il mese scorso per vedere gli Iron Maiden), che non sarebbero altro che la riedizione di ricorrenze medievali albioniche come la Feast of Fools. Ma come la mettiamo con le bestemmie, le croci rovesciate, i caproni a vanvera, i santi sbudellati in copertina? Sorella Mann ha le idee chiare. “Solo finzione e desiderio di shockare“, afferma, citando testualmente le liriche di Skeleton Christ degli Slayer. Quante volte avete provato a spiegarlo a vostra zia? Che dire, reverendo, oggi stapperò una birra alla sua salute, e sappia che se un giorno decidessi di abbracciare la fede non avrei dubbi su a chi rivolgermi. (Ciccio Russo)



Lezioni di civiltà: sindaco metallaro bulgaro fa erigere una statua di Dio

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La Bulgaria è veramente uno dei posti più true del mondo. Dello storico incontro tra Joey DeMaio e il ministro delle finanze di Sofia vi abbiamo già reso edotti. E’ invece notizia di questi giorni che le autorità di Kavarna, una piccola località costiera sul Mar Nero, hanno deciso di erigere nel parco più importante della città una statua del compianto Ronnie James Dio.

Il monumento farà parte della “Walk of Rock” un progetto fortemente voluto dal sindaco di Kavarna, Tsonko Tzonev, noto appassionato di heavy metal non nuovo a iniziative di questo genere. Durante l’amministrazione Tzonev, infatti, band come Motorhead, Heaven and Hell, Deep Purple e Manowar si sono esibite, grazie al diretto interessamento del primo cittadino, nella placida cittadina marittima, che si è oramai guadagnata l’appellativo di “capitale bulgara del rock”. Tali illuminate politiche, a quanto ci risulta, avrebbero avuto un forte ruolo nell’abbattimento della disoccupazione e nel rilancio dell’economia locale, creando quello che – a mio parere – è senza dubbio un vero e proprio nuovo modello di sviluppo, chiamiamolo rockonomy, da replicare ed esportare urbi et orbi. Tra le altre trovate di questo illustre servitore dello stato, si può citare, inoltre, l’aver ravvivato i cupi casermoni popolari di epoca sovietica della sua città con giganteschi murales raffiguranti famose rock star come David Coverdale. Come se non bastasse, questo grande uomo è anche il presidente della squadra di calcio locale PCF Kaliakra Kavarna (che, se è vero quanto leggo su Wikipedia, i tifosi chiamano con un nomignolo che suonerebbe come… “Cagliari“?!?), che milita nella serie A bulgara e, a questo punto, non può che essere il team dove Ivan Juric è destinato a chiudere la carriera. Non so voi, ma io ho già deciso dove andare in vacanza l’anno prossimo. (Ciccio Russo)


Lezioni di civiltà: il sindaco di Sofia riceve Joey DeMaio

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Qualche mesetto fa vi abbiamo parlato dello storico incontro tra Joey DeMaio e il ministro delle finanze bulgaro. La connection tra i Manowar e il paese dell’Est Europa, ormai sempre più terra promessa del Vero Metal, non si è però esaurita qui. Apprendiamo infatti dal quotidiano locale Standart (la prestigiosa testata grazie alla quale abbiamo fatto conoscenza di un altro illustre abitante dell’antica Tracia: il mitico Tsonko Tzonev, il sindaco metallaro di Kavarna che ha fatto erigere nella sua città una statua del compianto Dio) che il bassista dei Kings of Metal è stato ricevuto in udienza privata da Yordanka Fandakova, prima cittadina di Sofia, con la quale avrebbe parlato dei fan bulgari e della scena heavy metal locale.

DeMaio ha firmato il Libro d’Onore della città con una dedica, pregna di galanteria d’altri tempi, alla “splendida città di Sofia e al più bel sindaco che abbia mai incontrato nonché del mondo”. A noi di Metal Shock, inguaribili romantici, piace pensare che durante il colloquio la signora Fandakova abbia ceduto al maturo fascino di Joey, rapita dallo scintillio pieno di voluttuose promesse nel suo occhio di vetro, e che i due abbiano bevuto avidamente dal calice del piacere mentre il sole (sempre riflesso nell’occhio di vetro), quasi a non voler disturbare il turbinoso sodalizio, si nascondeva dietro ai Balcani per lasciar spazio alla notte che da sempre è regno degli amanti. Il sindaco più bello del mondo (dalla foto non si capisce bene, ma se lo dice Joey DeMaio deve essere per forza vero, perché Joey DeMaio si unisce solo con donne della Razza Migliore e, in generale, ha sempre ragione su qualsiasi argomento si esprima, dalla fisica quantistica al campionato uruguaiano), del resto, ha dichiarato di “essere una vera fan dei Manowar” e di essersi sentita “molto eccitata per l’incontro”. “Mi piacciono molto il vostro paese e la vostra gente, è un paese rock – le ha fatto eco DeMaio – i più grandi fan dei Manowar vengono da qua”. Fan come il recentemente scomparso Joro Panaiotov, amico della band al quale il lungocrinito bassista ha reso omaggio.

Durante questa missione diplomatica, Joey ha inoltre visitato i Nu Boyana Studios, dove sono stati recentemente girati The Expendables (il pregevolissimo film diretto da Stallone dove, oltre a lui, figurano molti eroi del cinema testosteronico anni ’80) e, udite udite, il remake di Conan il Barbaro. Ora ricapitoliamo. Il ministro delle finanze bulgaro è un fan dei Manowar e si fa le foto insieme a Joey DeMaio. Quello italiano no. A Kavarna c’è un sindaco metallaro che fa erigere una statua di Dio e fa dipingere sui palazzi murales di David Coverdale. Nella mia città no. A Sofia fanno il Sonisphere col Big Four. A Roma no. Negli studios bulgari girano The Expendables e Conan il Barbaro. A Cinecittà no. Il sindaco della capitale bulgara è una fan dei Manowar e riceve Joey DeMaio in udienza privata. Da noi le figure più rock’n'roll che vengono ricevute dai politici sono prostitute e spacciatori di cocaina. Basta, voglio andare a vivere in Bulgaria. Signora Fandakova, la prego, mi prenda a lavorare con lei, mi accontento di un posto nell’ufficio stampa ma se vuole posso anche fare l’assessore al death metal.  (Ciccio Russo)


La maglia dei Cradle con la suora continua a mietere vittime

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In un precedente post ho ricordato come una delle principali ragioni del perdurante successo dei Cradle Of Filth sia indubbiamente la titanica offerta di merchandising. Solo le t-shirt prodotte dall’ensemble inglese in tutti questi anni di carriera si conteranno ormai nell’ordine delle centinaia. Qua a Metal Shock amiamo il vintage, e la nostra preferita rimane questa.

Il nero, come saprete, non passa mai di moda

Uscita ai bei tempi di The Principle Of Evil Made Flesh, questa simpatica maglietta è forse la più famosa in assoluto tra quelle che recano il logo dei vampiri albionici. E lo è per un motivo molto semplice: ogni tanto qualche disagiato che la indossa finisce nei guai con la giustizia. Beh, è successo di nuovo. Un australiano di 34 anni, tale Alexsei Vladmir Nikola, a quanto si apprende dal Brisbane Times, è stato fermato qualche tempo fa dall’oscurantista e reazionaria polizia della land down under mentre passeggiava con addosso questo amabile capo di vestiario. Rischia fino a sei mesi di carcere per public nuisance, che significa più o meno impedire al prossimo di godersi serenamente un luogo pubblico (e qua chiedo soccorso ai lettori esperti di common law). Due anni fa, sempre in Australia, un 19enne era finito davanti al giudice per le stesse ragioni. Diversi casi analoghi si sono verificati in Gran Bretagna. Tempo fa, in quel di Dover, lo stesso Nick Barker, allora batterista del gruppo, fu denunciato perché sfoggiava questa immortale t-shirt. Noi di Metal Shock, da sempre strenui difensori della libertà d’espressione, manifestiamo la più sentita solidarietà nei confronti del brother of metal Alexsei Vladmir Nikola, però, che cazzo, a 34 anni vai in giro con ‘sta maglietta?!?

Già che ci sono, piazzo un video altrettanto vintage per recitare nuovamente la parte del vegliardo nostalgico che ai suoi tempi qua era tutta campagna. Perchè – dopo tanti dischi inutili rischiamo di dimenticarcelo – questi qua un tempo erano DAVVERO grandi. (Ciccio Russo)


IL METALLO

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Perché non te ne frega un CAZZO di tutto il resto:



Fortza Paris

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Dei Tristania ammetto di aver ascoltato solo l’esordio A Widow’s Weed. Non sono la mia tazza di tè. Ma il recente Rubicon non potevo ignorarlo, è il primo album con Mariangela Demurtas dietro al microfono. La mia conterranea sostituì Vibeke Stene tre anni fa, in un periodo fitto di cambi di line-up.

Insomma, un disco con una sarda alla voce lo dovevo sentire per principio. Non ha senso che mi sforzi a scrivere una recensione, i cinque dischi precedenti non li conosco e francamente non mi va di recuperare proprio ora che devo recensire Atheist, Forbidden e una marea di robaccia ultraunderground per Frattaglie in saldo: il gothic metal sinfonico-orchestrale non è affatto il mio genere. Però mentre ascolto Rubicon (che mi è parso carino ma, lo ribadisco, non ascolto mai questa roba, manco i primi Theatre Of Tragedy) non posso non pensare a Mariangela che ogni estate si porta su in Norvegia i culurgiones e il mirto e intrattiene gli increduli membri della band, abituati agli agi e alle mollezze dello standard of living scandinavo, con picaresche storie di vita vissuta sarda. Me la immagino mentre insegna a Anders Høvyvik Hidle a dire sucunnemamaruabagassa e poi si ride tutti assieme bevendo Ichnusa, e lei non smette di sorridere perchè quando era un’adolescente metallara a Bitti quando cazzo mai se lo sarebbe aspettato che un giorno sarebbe diventata la cantante dei Tristania. Mariangela, scusa se non sarò mai un fan del tuo gruppo ma sappi che ti stimo a prescindere. (Ciccio Russo)


Albano Carrisi uno di noi

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C’era una volta Michael Jackson che copiava Al Bano. Quest’ultimo gli fa causa, la perde (anche se le canzoni sono effettivamente identiche) ma a Jackson la cosa porta un po’ sfiga perchè prima viene accusato di pedofilia e poi muore. È un mondo difficile. Ma ora, grazie alla segnalazione di Giovanna, nostra affezionata lettrice, possiamo aggiungere un altro tassello alla vicenda. La fantastica canzoncina portata a Sanremo dal nostro cantante italiano preferito, Amanda è libera, pare infatti essere molto simile a una nostra vecchia conoscenza.

Eh sì. Una delle ballatone più lacrimevoli e strappamutande degli Helloween era-Deris ricorda paurosamente, nel ritornello, la canzone del signor Carrisi. Ovviamente non vediamo niente di malizioso in tutto ciò, e sappiamo benissimo come Forever And One abbia una melodia un po’ scontata, nonostante Time Of The Oath sia un album al quale siamo tutti noi molto legati. Come per ogni festival, le accuse di plagio rimbalzano su quasi tutte le canzoni in gara. Noi siamo scafati ascoltatori di musica, non siamo più esattamente giovanissimi ma soprattutto siamo intellettualmente onesti. Già da ragazzini abbiamo un po’ tutti sbattuto il muso sulla paurosa somiglianza tra Hallowed Be Thy NamePensieri e Parole di Lucio Battisti, quindi non ci scandalizziamo. La stessa Forever And One, evidentemente, è ripresa da un vecchio valzer per il quale qui Al Bano viene accusato di plagio, e la somiglianza è evidente. Tocchiamo l’argomento con guanti di velluto perchè sappiamo che Al Bano trattasi di persona sanguigna e vendicativa (e che abita a tipo trenta chilometri dalla mia città natale, particolare assolutamente da non sottovalutare), epperò quello che è giusto è giusto, come si suol dire. Siamo coscienti che la, uhm, leggera somiglianza non è affatto voluta, e anzi io personalmente mi sento di dire che Amanda è libera avrebbe dovuto vincere il festival. Pensateci: cosa è meglio, Forever And One con un diverso arrangiamento oppure quelle due robe che sono arrivate ai primi due posti? Non consideriamo la seconda classificata, quella dei Modà con la tipa uscita dalla scuderia (non si dovrebbe usare questa parola; è come dire stalla, o pollaio, o porcile) dalla scuderia, dicevamo, di Maria de Filippi: non consideriamola, perchè questo è un blog di musica e noi della grande Musica degli Helloween e di Al Bano ci occupiamo, e non di puttanate. O vogliamo parlare della prima classificata, lo strabiliante pistolotto di Vecchioni incentrato fondamentalmente sul cuore/amore e sui ggiovani che vanno in piazza contro la riforma Gelmini? Originale. Coraggioso. Controtendenza. Che poi, massimo rispetto a chi scende in piazza per lottare per le proprie convinzioni -qualunque esse siano- però ecco, insomma, senza voler entrare nel merito, ma Vecchioni è un professore che in passato è stato al centro di polemiche da parte dei suoi stessi studenti perchè se ne andava in tour per mesi senza andare ad insegnare, e la riforma Gelmini, almeno nelle intenzioni, vorrebbe colpire proprio i professori assenteisti. Se una canzone del genere l’avesse cantata il coro di supplenti precari che coprono le ore in cui Vecchioni sta in giro a cantare voglio una donna con la gonna avrei capito e anzi, l’avrei votata pure io a Sanremo. Ma così boh. 
Al Bano non c’entra niente con tutto questo. E’ quello che dalle nostre parti si chiama un masculo amaro. È uno che si è fatto da solo, ha venduto decine di milioni di dischi in tutto il mondo (e questo non è affatto uno scherzo), ha una voce della madonna e soprattutto il suo olio è molto buono. Dovete sapere infatti che Albano Carrisi possiede una tenuta sconfinata a Cellino San Marco, nel brindisino, in cui produce olio, vino e varie altre cose. Noi siamo metallari, figli di Odino e del dio Pan, e vediamo sempre di buon occhio i rudi coltivatori dei frutti di Madre Natura. Al Bano non è un fighetto vomitato fuori da qualche incubo televisivo orwelliano come Emma Marrone, nè un professorino da salotto borghese con la pipa in bocca come Vecchioni. Al Bano è uno che ha i calli da contadino sulle mani e che a quasi settant’anni ancora va sul trattore a controllare la vendemmia e la raccolta delle olive; è un novello Mazzarò che non ha mai dimenticato da dove viene, neanche dopo aver sposato la figlia di un grande divo di Hollywood. Noi tutti facciamo il tifo per Al Bano, e questa simpatia ora è amplificata dall’accostamento con i supremi maestri del gaio metallo tetesco del potere. Il religiosissimo cantante salentino sarà anche felice di sapere, se gli sarà riferito di questo articolo (speriamo di no, mannaggia), che il gruppo autore di Forever And One ha anche firmato uno dei più grandi pezzi di christian power metal di sempre, LAVDATE DOMINVM, dal titolo in maiuscolo e dal testo in latino. Io una volta ci andai, nella tenuta di Al Bano. Erano i tempi in cui giocavo nelle giovanili di pallavolo del Brindisi: il nostro infatti possedeva anche la squadra di volley del Cellino San Marco, che ovviamente giocava in mezzo a vigne e campi di pomodori. Fu un’esperienza un po’ particolare, perchè il campo non era molto a norma. Innanzitutto era all’aperto, cosa piuttosto irregolare perchè i campi devono essere per regola al chiuso. La partita ebbe luogo lo stesso, nonostante ogni tanto sul campo da gioco passassero galline e vari animali da cortile. Io ero il capitano della squadra, e protestai vibratamente contro un imbarazzatissimo arbitro che mi fece capire, in maniera neanche troppo velata, che protestare era perfettamente inutile in quel caso. Mi misi l’anima in pace quando mi accorsi che il mio allenatore, solitamente incazzosissimo tipo quello di Mila Hazuki, mi guardava scrollando la testa con fare rassegnato. Anche questo lato un po’ da signorotto locale alla Don Rodrigo, comunque, fa parte del personaggio. Io proporrei a questo punto di contattare Al Bano e vedere se si può organizzare una megagrigliata nella sua tenuta, all’insegna della musica, di Madre Natura, del vino rosso e del cappone arrosto. Le somiglianze attitudinali tra di noi sono troppo forti per essere sprecate così. Chiamiamo anche Michael Weikath e organizziamo una jam session. Chi ci sta? Io porto il pallone da pallavolo. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)

Death metal victory: la carriera di Ivan Juric nel nome del metallo pesante

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Ora basta, voglio Juric all’Inter. Anche solo per il gusto di comprarmi la maglia nerazzurra e farmi scrivere dietro JURIC 666, sarebbe l’unico caso in cui potrei girare con quella maglia a Roma: la soddisfazione di indossare una cosa del genere varrebbe anche il rischio di essere pestati a sangue.

Così scrivevo più di un anno fa, commentando l’intervista apparsa su Rolling Stone in cui Ivan Juric, all’epoca centrocampista del Genoa, dichiarava la sua passione per il death metal. Un sogno diventato realtà nel giro di appena 14 mesi. Poche ore fa, nella sua conferenza stampa di presentazione, Giampiero Gasperini ha annunciato di voler portare nel suo staff proprio l’ex giocatore più TRVE di tutti i tempi. Non so di che settore si occuperà Juric, probabilmente ancora non è stato specificato pubblicamente, ma di una cosa sono certo: per quella maglia è solo questione di tempo.

Poi certo, ognuno ha la sua squadra, o quantomeno la squadra che si merita.  Ma qui a MS siamo legati a Juric soprattutto perché quell’articolo fu per molto tempo il più cliccato in assoluto, e da qualche tempo lo è ridiventato. Forse fu proprio quell’articolo a farci fare il primo salto di qualità in termini di visite, più della saga di blog di donne belle o dello speciale sulla musica da ascoltare in palestra. Gli vogliamo bene, lo consideriamo un fratello del vero metal e saremmo felicissimi di incontrarlo ad un concerto death in giro per la Penisola. Bisogna volere sempre il bene di un fratello del vero metal: e, per un giocatore che ha appena appeso gli scarpini al chiodo, entrare contro ogni previsione nello staff dell’Inter è sicuramente una botta incredibile. Quindi non importa se siete interisti, milanisti, genoani, sampdoriani o se tenete per qualche altra squadra, financo di quelle innominabili: oggi dobbiamo tutti giubilare per Ivan Juric, come tutti noi figlio di Odino e ammanicato con il demonio.

KILL WITH POWER

Ma se tu dovessi mai leggere queste mie righe, Ivan, sappi che la mia proposta è sempre valida:

Ivan, forse non verrai mai a giocare nella mia squadra, ma possiamo sempre diventare consuoceri. Sarebbero le riunioni di famiglia più belle che si possano immaginare: i nostri figli, sposati, a parlare di death metal e pallone, e noi vecchiardi con l’amaro Averna in mano a guardarli con orgoglio, ricordando i tempi in cui anche noi eravamo come loro. Pensaci, Ivan. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)



HAMMERFALL @Magazzini Generali, Milano 11.11.11

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Se è vero che le mode cambiano ed il sound di una band si evolve, allora gli HammerFall hanno centrato in pieno e con successo questa filosofia di vita. Sono lontani ormai gli anni dove il generale Oscar Dronjak sfoggiava, durante i live e le photo session della band, improponibili corpetti metallici, armature, borchie e chincaglieria di ogni genere. Ora il lungocrinito (e tinto) leader e compositore del gruppo preferisce un abbigliamento molto più casual ed eccolo così sul palco in jeans e magliettina e spolverino (di pelle, almeno quello ).
E che dire del sound? Un heavy metal classico tipicamente eighties che gli HammerFall furono capaci di riportare in auge alla fine degli anni ‘90 e che oggi lascia spazio ad un sound più moderato, a riff meno tirati, più ragionati ma sicuramente ancora in pieno stile HammerFall.
Ovviamente il disco più bello della loro carriera rimane per il sottoscritto Crimson Thunder insieme al debutto Glory To The Brave. Ma che senso avrebbe nel 2011 rimanere ancorati ad uno stile immutato, ad un approccio praticamente statico? Ed allora eccoci di fronte a No Sacrifice, No Victory ed all’ultimo Infected. Due album che in meno di 3 anni hanno cambiato in parte il sound della band svedese.
Sono stati furbi gli HammerFall, perché in No Sacrifice, No Victory hanno cominciato a cambiare sound -ma non aspetto grafico, con il guerriero Hector sempre in bella mostra in copertina. Con Infected invece il combo osa di più e gli riesce anche bene. Le atmosfere orrorifiche la fanno da padrone. Questa volta si parla di zombi, di infetti, non più di guerrieri. Il sound è diverso, più maturo, e credo proprio che su questa strada punteranno nel prossimo futuro. Fatte queste dovute premesse era giunta l’ora anche della prova live, vero punto di forza degli HammerFall, da sempre. Erano parecchi anni che non seguivo la band dal vivo e quale occasione migliore dello scorso 11-11-11 per poter testare il “nuovo” percorso artistico in sede live ?
Purtroppo per motivi di orario (lo show è iniziato veramente troppo presto) non ho potuto assistere in toto alla performance dei Vicious Rumours. Band che ha confermato comunque ancora un’ottima attitudine nonostante gli anni. 
Pochi minuti dopo lo show del combo americano (come se gli organizzatori andassero di fretta) ecco salire sul palco il gruppo capitanato da Joacim Cans.  L’apertura dello show è affidata a Patient Zero (con tanto di intro alla Resident Evil) e devo ammettere da subito che la canzone dal vivo spacca il culo, come tutte le altre del nuovo disco in sede live. La stessa One More Time, che sul disco non rende molto, dal vivo è tutta un’altra cosa, un vero spettacolo metallico.
Il concerto è strepitoso, il gruppo è in gran forma ed il gioco di luci fa la sua parte (peccato solo per il piccolo palco dei Magazzini Generali). Vengono suonate una dopo l’altra tutte le hits della band. Di ogni disco vengono suonate almeno due canzoni e cosi si alternano Heeding The Call, Any Means Necessary, Blood Bound, Renegade, Riders Of The Strorm, Steel Meets Steel, The Dragon Lies Bleeding e la conclusiva Hearts On Fire. Fan sfegatati del gruppo, come il sottoscritto, quasi si mettono in ginocchio. Uno spettacolo nello spettacolo insomma.
Viene addirittura eseguita Always Will Be (dedicata a tutte le donzelle presenti), meravigliosa ballad mai proposta in sede live dalla band e contenuta nel disco Renegade del 2000. Ottima la performance del “nuovo arrivato” Fredrik Larsson al basso e Pontus Norgren alla chitarra.
Un plauso particolare proprio a quest’ultimo che riesce ad eseguire quasi alla perfezione tutti gli assoli di Stefan Elmgren. Il nuovo chitarrista ha stoffa da vendere, un ottimo sound ed un tocco molto preciso. Dalla sua Gibson Les Paul Custom i riff e gli assoli escono al fulmicotone stendendo tutti i presenti.
Questo era il mio settimo concerto del gruppo di Goteborg… sicuramente è stato il più bello ed il piccolo club ha contribuito a rendere magica la sensazione che ho provato per la vicinanza della band e per il calore che tutto il pubblico milanese -e non solo- ha dimostrato nei confronti di Oscar e compagni.
La band ha saputo guadagnarsi nel corso degli anni tantissimi fans, ha pubblicato album molto belli non sbagliando mai un singolo, ha fatto cantare intere arene, festival e palazzetti e questa è la loro giusta ricompensa.
Le mode cambiano, il sound si evolve, ma gli HammerFall del 2011 restano una certezza che ben poche band sono in grado ancora di garantire!
Let The Hammer Fall !

(Luca “Acey” Arioli)

SETLIST:

1.Patient Zero
2.Heeding The Call
3.Any Means Necessary
4.BYH
5.Blood Bound
6.Let’s Get On It
7.Last Man Standing
8.Renegade
9.Always Will Be
10.Dia De Los Muertos
11.Riders Of The Storm
12.Steel Meets Steel
13.Legacy Of Kings
14.Let The Hammer Fall
15.Dragon Lies Bleeding
16.The Templar Flame
17.Glory To The Brave
18.One More Time
19.Hearts On Fire


L’ultima playlist prima dell’apocalisse

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CICCIO RUSSO

meanwhile, in serbia

DISCO DELL’ANNO:
Autopsy – Macabre Eternal

TOP TEN:
Anthrax – Worship Music
Deceased – Surreal Overdose
Crowbar – Sever The Wicked Hand
Burzum – Fallen
Demonaz – March Of The Norse
Obscura – Omnivium
Deicide – To Hell With God
Weedeater – Jason… The Dragon
The Decemberists – The King Is Dead
Karma To Burn – V

DISCO DI MERDA:
Pestilence – Doctrine (giusto per non essere scontati)

STEFANO GRECO

1992, periferia di kiev

DISCO DELL’ANNO:
Blood Ceremony – Living With The Ancients

TOP TEN:
Twilight Singers – Dynamite Steps
Yob – Atma
Bon Iver – st
Mastodon – The Hunter
White Hills – H-p1
The Gates Of Slumber – The Wretch
The Atlas Moth – An Ache for the Distance
Graveyard – Hisingen Blues
The Might Could – st
Doomraiser – Mountains Of Madness

DISCO DI MERDA:
Limp Bizkit – Gold Cobra

MICHELE ROMANI

DISCO DELL’ANNO:
Falkenbach – Tiurida

TOP TEN:
Moonsorrow – Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassaa
Midnight Odissey – Funeral From Astral Spheres
Epheles – Je Suis Autrefois…
Woods of Desolation – Torn Beyond Reason
Burzum – Fallen
Vintersorg – Jordpuls
Alrakis – Alpha Eri
Omit – Repose
Kampfar – Mare
Fen – Epoch

DISCO DI MERDA:
Il nuovo Lacuna Coil, a prescindere.

CHARLES

DISCO DELL’ANNO:
Eldritch – Gaia’s Legacy

TOP TEN:
Burzum – Fallen
Woods of Desolation – Torn Beyond Reason
Of The Wand And The Moon – The Lone Descent
Le Orme – La Via della Seta
Opeth – Heritage
Demonaz – March Of The Norse
Falkenbach – Tiurida
Symphony x – Iconoclast
Chickenfoot – III
Marissa Nadler – st

DISCO DI MERDA:
quest’anno con Illud e Lulu è gioco facile ma per distinguermi dico To/Die/For – Samsara

MATTEO FERRI

DISCO DELL’ANNO:
Solstafir – Svartir Sandar

TOP TEN:
Primordial – Redemption at the Puritan’s Hand
Taake – Noregs Vaapen
Moonsorrow – Varjoina kuljemme kuolleiden maassa
Karma To Burn – V
Doomsword – The Eternal Battle
Burzum – Fallen
Fethuruz – And Nature Begins
Deicide – To Hell With God
Peste Noire – L’Ordure à l’état Pur
Verdena – Wow

DISCO DI MERDA:
Lulu

PIERO TOLA

DISCO DELL’ANNO:
Karma To Burn – V

TOP TEN:
Autopsy – Macabre Eternal
Burzum – Fallen
Brutal truth – End Time
Civil Civic – Rules
Paradise Lost – Draconian Times MMXI
My Dying Bride – The Barghest O’ Whitby
Agnostic Front – My Life My Way
Tygers of Pan Tang – The Spellbound Sessions
Woods of Desolation – Torn Beyond Reason
Chelsea Wolfe - Ἀποκάλυψις

DISCO DI MERDA:
Lulu

NUNZIO LAMONACA

DISCO DELL’ANNO:
The Might Could – st

TOP TEN:
Indian – Guiltless
Red Fang – Murder The Mountains
Do Nascimiento – st
OFF! – First Four Ep’s
Ilsa – Tutti i Colori Del Buio
Autopsy – Macabre Eternal (su ‘sto disco ho cambiato idea RADICALMENTE)
Wormrot – Dirge
Despise You /Agoraphobic Nosebleed – Split
Dyskinesia – Dalla Nascita
Sourveign – Black Fangs

DISCO DI MERDA
Vabbè, LULU (che ve lo dico a fare?), anche più dell’ultimo Morbid Angel se non altro perché mi è toccato ascoltarlo per intero, Illud no, che siamo pazzi? Per i casi di Brutal Truth, Anthrax e Lock Up parlerei piuttosto di una piccola delusione. I Metallica non interessano più manco ai metallari.

MATTEO CORTESI

DISCO DELL’ANNO:
Falkenbach – Tiurida

TOP TEN:
Art Department - The Drawing Board
Jad Fair – His Name Itself is Music
Vasco Rossi – Vivere o Niente
John Mascis – Several Shades of Why
Antonello Venditti – Unica
Sandro Codazzi – st
Kaos – Post Scripta
Mogwai – Hardcore Will Never Die, But You Will
Crash of Rhinos – Distal
Deceased – Surreal Overdose

DISCO DI MERDA:
uno a caso tra i soliti sospetti

MASTICATORE

DISCO DELL’ANNO:
Radio Moscow – The great escape of Leslie Magnafuzz

TOP TEN:
Crowbar – Sever the wicked hand
Earth – Angels of darkness, demons of light I
Samsara Blues Experiment – Revelation & mistery
Robert Hood – Omega: Alive (Matteo Cortesi ti amo)
Omega Massif -Karpatia
Dead Elephant – Thanatology
Kuedo – Severant
Trap Them – Darker handcraft
Morkobot – Morbo
Anal Cunt – Fuckin’ A

DISCO DI MERDA:
Quei vecchi quasi morti – Lulu

LUCA ARIOLI

DISCO DELL’ANNO:
Amorphis – The Beginning Of Times

TOP TEN:
Opeth – Heritage 
Amon Amarth – Surtur Rising
Megadeth – Th1rt3en
Hammerfall – Infected
Norther – Circle Regenerated
In Flames – Sound Of A Playground Fading
Reckless Love – Animal Attraction 
Steel Panther – Balls Out 
Nightwish – Imaginearum
Edguy – Age Of The Joker

DISCO DI MERDA:
Stratovarius – Elysium

FABRIZIO “DOOM” SOCCI

DISCO DELL’ANNO:
Esoteric – Paragon of Dissonance

TOP TEN:
Chryst – PhantasmaChronica
Loss – Despond
 
DISCO DI MERDA:
Vado controcorrente: non è Lulù (mediocre ma non questo aborto che si dice in giro), dico il nuovo In Flames. Che pena vedere gli autori di pezzi come Stand Ablaze ridotti così. Menzione d’onore anche per Under the sign of hell 2011 dei Gorgoroth, e in generale per tutte le operazioni di questo genere.

ROBERTO ‘TRAINSPOTTING’ BARGONE

DISCO DELL’ANNO:
Burzum – Fallen

TOP TEN:
Demonaz – March Of The Norse
Enslaved – Thorn
Omnium Gatherum – New World Shadows
Battlelore – Doombound
Korpiklaani – Ukon Wacka
Moonsorrow – Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassaa
Anal Cunt – Fuckin’ A
Andrew WK – The “Party All Goddamn Night” EP
Nader Sadek – In The Flesh
Morbid Angel – Illud Divinum Insanus (perchè IO, a differenza di VOI STRONZI, non rinnego lo stile di vita hardcore & radikult)

DISCO DI MERDA:
Vabbè, Lulu.


IRON SAVIOR – The Landing (AFM)

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Disco fiacco, ma una killer track della madonna. La recensione non finisce qui sia perché la killer track è davvero della madonna ma anche per l’enorme rispetto e stima che noi si prova verso la figura di Piet Sielck e conseguentemente verso la sua band, una delle più sottovalutate della storia del metallo tetesco degli ultimi vent’anni. A parte che la prima formazione degli Iron Savior era un trio formato da Sielck, Kai Hansen e Thomen Stauch, che è un po’ l’equivalente power metal del cast di Expendables 2; ma il tipo negli anni ottanta faceva pure parte della prima formazione degli Helloween, che ha poi lasciato per portare avanti una carriera da produttore/tecnico del suono con il superpotere di tramutare in oro qualsiasi cosa toccasse, dagli Excelsis agli Airborn ai Persuader ai Paragon eccetera eccetera.

Ferma restando quindi l’elevata statura morale del tipo, dobbiamo purtroppo constatare che The Landing è forse il primo vero disco sottotono della band di Amburgo; pur se il precedente Megatropolis non era al livello di quelli prima (Battering Ram incluso, che spacca come e quanto gli altri) era comunque un buon disco, con dei pezzi assurdi tipo Omega Man o la titletrack; questo invece è il classico disco che sarebbe ottimo se l’avesse fatto qualche gruppo di seconda fascia, ma abbastanza spiazzante visto il moniker che campeggia in copertina: non perché sia diverso o più sperimentale (ahahah) rispetto agli altri, ma semplicemente perché è un po’ moscio. Niente di preoccupante in prospettiva futura, pure considerando che -oltre alla killer track della madonna- pezzi come Hall Of The Heroes, Starlight o R U Ready fanno la loro porca figura. Vale anche qui il discorso fatto con gli Hypocrisy per il quale esistono dei gruppi, e gli Iron Savior sono tra questi, che hanno un determinato suono capace di farti piacere qualsiasi cosa quel gruppo faccia uscire, basta che abbia quel suono. Il fatto che sia Tagtgren che Sielck il proprio suono se lo siano costruiti da soli, poi, è un surplus di figaggine.

E insomma The Landing è un disco più classicamente ottantiano rispetto alla loro media. Si sente qui più che mai il loro essere così magnificamente teteschi, con quei riffoni fatti con la squadretta, il songwriting rigidissimo e il midtempo che prevale sulle cavalcate in doppio pedale. Piet Sielck del resto è un metallaro di mezza età che ha sempre vissuto in mezzo all’heavy metal (oltre che alla fantascienza e alle patate) e il disco dà un po’ l’impressione di essere un atto d’amore verso questa musica che, come noi sappiamo, è la migliore di tutte. Epitome di tutto questo è la suddetta killer track della madonna, che si chiama Heavy Metal Never Dies ed è un midtempo vecchia scuola con un testo che parla della vita e dell’heavy metal. Che poi sono la stessa cosa. 

Rain is pouring, the wind is howling
The skies are dark and dim
Something’s got a hold on you
And drains you from within

Tangled up in a world of sorrow
You lost belief in a better tomorrow
Don’t surrender, stand your ground
Time to turn around

Burn down the bridges and leave it all behind
Turn on the music, let it purify your mind

Shout it out
And play it loud
Cause this is what it’s all about
Heavy Metal never dies

Raise your head up to the sky
And let the music take you high
May your inner warrior
Ride again in pride

And by the power of metal you’ll be strong
To become yourself again to finally go on and on

Paura eh? Se il testo non vi fa venire la pelle d’oca siete chiaramente dei non-figli di Maria. Perché in poche righe spiega esattamente che cosa è l’heavy metal, cosa rappresenta davvero, qual è il suo scopo e la sua funzione nella nostra vita, e perché non riusciremmo a farne senza. Personalmente, senza heavy metal io sarei morto da parecchio, o suicida o ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia dopo aver fatto una strage di pezzi di merda che se la meriterebbero davvero, una fucilata in piena faccia. Invece no, sono ancora qui. Perché sarà pur vero che è un mondo difficile, ma noi almeno ci abbiamo l’heavy metal. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)


Blaze Bayley eroe della classe operaia

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Io ho sempre avuto un debole per Blaze Bayley. Lui era il simbolo di quello brutto, grasso e sfigato che però ci crede tantissimo e alla fine va a cantare negli Iron Maiden. E lui brutto, grasso e sfigato lo era veramente. Esteticamente più vicino al primate che all’uomo, sia perché peloso come un gorilla sia per il modo scimmiesco di agitarsi sul palco, a Blaze Bayley gli squallidi sobborghi operai di Birmingham da cui proviene gli sono rimasti appiccicati addosso facendogli mantenere l’aspetto del tipico proletario inglese flaccido e un po’ troppo affezionato al pub e a certe sue passioni giovanili tipo il rock’n’roll. Che però a lui ha dato improvvisa fama mondiale. E tu lo vedevi, che reggeva l’improbo carico di essere il sostituto di Bruce Dickinson di fronte a migliaia di fan, che sudava come un maiale, brutto come la morte, e si sbatteva sul palco come se non ci fosse un domani, e soffriva dentro perché per cantare Aces High l’impegno non basta, e lui lo sapeva, e si rodeva nel senso d’inadeguatezza, e si diceva che cazzo, sono arrivato fino a qui nessuno mi ha regalato niente e non importa che io sia brutto grasso e sfigato ma ce la posso fare, l’importante è credere in sé stessi e lottare DAI CAZZO.
Però la vita non è come un film di Rocky. La vita è una puttana. E allora le contestazioni dei fan, le petizioni online, gli sputi, i tour ridimensionati, le vendite calate, e infine l’epifania della great rock’n’roll swindle nella reunion in grande stile con Adrian Smith compreso nel pacchetto.

Ora vi aspetterete che io vi dica che in realtà non è vero che Blaze Bayley è brutto, grasso e sfigato, ma che in realtà è un grande cantante incompreso e che solo l’elite dei guerrieri del vero metal può capirne la grandezza etc, ma in realtà no. Blaze Bayley è davvero brutto, grasso e sfigato. È la sua essenza e il suo destino. Blaze Bayley è un eroe romantico, un epico pescatore verghiano che combatte la sua titanica lotta contro la possanza dei flutti, difendendo ogni attimo di vita con le unghie e con i denti, fino all’ultimo respiro, per portare a casa un misero carico di pesce per sfamare la sua famiglia di pezzenti. Blaze Bayley siamo noi quando non ci abbattiamo di fronte alle difficoltà, quando la vita ci sbatte per terra con un calcio nelle palle bisbigliandoti nell’orecchio tu sei una merda che ti rialzi a fare e tu ti rialzi sapendo che tutto quello che otterrai sarà un altro calcio nelle palle, però le rispondi io lo so che faccio schifo sono brutto grasso peloso sudo come un maiale e sono l’epitome della sfiga, però vaffanculo a chi ti è stramorta almeno a me mi è rimasta un poco di dignità. 

Wolfsbane Save The World è il nuovo disco degli Wolfsbane, la sua vecchia band. Puzza di pub inglese di periferia alle 5 della domenica pomeriggio, di fondi di bicchieri di birra sgasata dimenticati là da ore, di patatine al formaggio incrostate sulle mani, con la partita sfigata del Nottingham Forest alla televisione e i ciccioni pelati tatuati di mezza età con le nocche spaccate che mangiano i pork scratchings seduti alle macchinette del videopoker. Puzza di sfiga. Siete mai entrati in un locale sfigato nel mezzo di una serata live sfigata con degli anziani e malmessi capelloni che si affannano sul palco? Vi è mai capitato che vi prendesse bene, quasi convincendovi a prendere il disco autoprodotto alla bancarella gestita dalla moglie del bassista? Wolfsbane Save The World è esattamente quella roba lì. Non so come spiegarvelo meglio, è proprio la roba che vi aspettereste da dei metalmeccanici di Birmingham che continuano a coltivare l’antica bruciante passione del rock’n’roll mandando avanti la vecchia band dei tempi della scuola, insieme agli stessi vecchi amici di sempre e suonando ogni venerdì al pub sotto casa, senza alcuna velleità di sfondare ma semplicemente perché li fa sentire vivi. Tanto la classe operaia, si sa, non ha niente da perdere.
(Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)


as the children of Bodom take their last breath

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Un po’ per trainare il tour dei festival estivi, un po’ per celebrare la recente vittoria ai Grammy Awards finlandesi come best metal album of 2011, un po’ perché ad Alexi Laiho e compari piace parecchio cazzeggiare, ecco il nuovo video dei Children Of Bodom, tratto da Relentless Reckless Forever, l’ultimo album uscito ormai più di un anno fa:

Sul pezzo in sé non c’è moltissimo da dire; è divertente, orecchiabile e cazzeggione; mentre lo ascolti batti il piedino e ti viene da fare air guitar, e dopo 5 minuti te lo sei già dimenticato; tutto perfettamente in linea con la tradizione degli ultimi Bodom. Parlarne male proprio non si può; parlarne troppo bene, neanche. Premete play, godetene per i 4’16’’ della sua durata e poi tornate alle vostre occupazioni abituali. Viva la primavera.


‘El Gringo’, il nuovo pezzo dei MANOWAR

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El Gringo è il pezzo che i Manowar hanno scritto per la colonna sonora del film omonimo, un action western con Scott Adkins e Christian Slater. Qui il trailer, di seguito la canzone intera:

Neanche a me ha preso, all’inizio; bisogna entrare un po’ nel concetto della cosa. Io ci sono riuscito venerdì scorso, quando Ciccio ha ospitato me e l’esile Charles per la consueta cena settimanale a base di salsicce e birra. Dovevamo fare una seduta intensiva di Sleep, visto che si era a qualche giorno del concerto (un tempo le sedute intensive le facevamo il giorno prima, che cosa bella era non avere un cazzo da fare), ma c’è voluto pochissimo perché capissimo che the gods who made metal are with us tonight e la cosa prendesse una piega diversa. Insomma abbiamo sentito i Manowar tutto il tempo, e ovviamente El Gringo è stata la ciliegina, più volte assaporata col pugno per aria e la birra sbrodolata addosso. Vi assicuro che nel giusto contesto spacca. Non so come spiegare, dovreste venire a mangiare le salsicce con noi. A questo punto non vedo l’ora che esca il film: nell’anno in cui escono The Avengers, il terzo Batman, Expendables 2, G.I. Joe 2 e il nuovo di Walter Hill con protagonista Stallone, e con il remake di Conan il barbaro uscito l’anno scorso, mancava solo un western bombardone coi MANOWAR in colonna sonora. La gente non sa che si perde, davvero.

a questi signori devo la vita


R.I.P. Led Zeppelin II [1948 - 2012]

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‘ signor impiegato dell’anagrafe, mi raccomando scriva bene: DUE’

Era nato come George Blackburn, ma dopo aver divorziato dalla moglie aveva ufficialmente cambiato nome; e da allora all’anagrafe del Missouri è stato registrato come Led Zeppelin II. La moglie dice che ne aveva parlato per cinque anni prima di divorziare, e che in gioventù aveva visto la band di Page & Plant almeno venti volte. Ora il signor Led Zeppelin II sale la scala del Paradiso per incontrare finalmente il dio Odino, e insieme ascoltare il rock’n'roll fino a che tutti i membri della formazione originale moriranno e così tutti lassù potranno farsi le canne ascoltando Whole Lotta Love. Arrivederci, strambo fratello del vero metal.



Anneghiamo nei ricordi col nuovo video dei JACK STARR’S BURNING STARR

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Dall’omonimo album Land Of The Dead dell’anno scorso:

Con l’orologio fermo al 1986, quando tutto era più bello. Jack Starr alla chitarra, Rhyno alla batteria, e con comparsate di Ross The Boss e David Shankle: la forza scorre potente in loro.


More than just a band

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La prima volta che ho ascoltato The Lord Of Steel ho avvertito le stesse sensazioni che provavo da bambino quando scartavo i regali la mattina di Natale. Ovviamente quando ero ancora convinto che li portasse un ciccione vestito di rosso con la barba bianca. Ma il discorso sulla sospensione dell’incredulità, grazie a Odino, lo ha già fatto Charles, risparmiandomi e risparmiandovi un bel po’ di elucubrazioni in merito. Anzi, il suo post, il mio e quello che scriverà prima o poi Roberto li potete vedere come un’unica grande recensione scritta dall’inconscio collettivo del blog. Perché, vedete, noi i Manowar li prendiamo sul serio. Che non è una cosa scontata. Al netto degli haters che, appunto, gonna hate e per i quali non possiamo non provare un po’ di sincera compassione perché evidentemente hanno sbagliato qualcosa di grosso nella vita, per una larga fetta del pubblico heavy Joey DeMaio e compagni sono dei culturisti ultracinquantenni con le mutande di pelliccia che avranno pure fatto dei bei dischi ma culturisti ultracinquantenni con le mutande di pelliccia restano. Un po’ come lo zio scapolo un po’ strambo che al pranzo di famiglia si presenta con l’amichetta russa di vent’anni più giovane, racconta barzellette sconce, rutta, passa le sigarette alla nonna di nascosto e la finisce ubriaco fradicio a giocare con il nipotino. Tutti sorridono condiscendenti, tutti gli vogliono bene ma si sentono in dovere di giustificarsi imbarazzati di fronte al genero in giacca e cravatta che lavora per la Morgan Stanley. L’unico che lo adora sinceramente e lo capisce davvero è il nipotino, al quale promette sempre che appena sarà abbastanza grande gli farà guidare la sua Harley e gli presenterà qualche giovane cugina della russa di cui sopra. Ecco, noi siamo quel nipotino.

Da un certo punto di vista, i Manowar sono il gruppo della mia vita. Non il mio gruppo preferito, attenzione. Ma il gruppo della vita. Quello che mi definisce non tanto rispetto alla gente normale, quella che non sa cosa si perde, quanto rispetto alla maggior parte dei metallari, per i quali quei testi composti dalle solite venti o trenta parole ricorrenti sono solo una caterva di stronzate ridicole e puerili. Gli Slayer sono sempre stati un discorso principalmente musicale. Come ho scritto altrove, scesi dal palco tornano nella custodia come i loro strumenti. I Manowar sono una visione del mondo, un modo di prendere le cose. More than just a band. Gli unici che posso avvicinargli come concetto sono i Pantera. Che però sono soprattutto il simbolo di un’attitudine che vedo perduta nelle nuove malcapitate generazioni e quindi mi picco di portare avanti da bravo barbogio passatista. Ma a comprendere come A New Level sia il brano motivazionale per eccellenza ci arriva chiunque. Capire i Manowar, capire perché gente come noi ama così tanto i Manowar, no, non è roba da tutti.

Infatti non pretendo che ognuno di voi capisca perché nei momenti peggiori una delle poche cose che mi faccia stare veramente bene sia Eric Adams che mi dice Forever carry on.  O perché in quelli migliori mi senta Tall like a mountain poiché Greatness waits all those who try. O ancora perché periodicamente mi frulli nella capoccia di aggiungere ai miei tatuaggi, sul bicipite ancora libero, il Sign of the Hammer con sotto la scritta Stand and Fight. E alla fine un giorno lo farò, ché Nicolai Lilin ci insegna che le cose veramente significative si incidono sulla pelle solo dopo i quarant’anni. Stand and fight/ Live by your heart/ Always one more try/ I’m not afraid to die. A voi magari sembra una cazzata. Beh, se avete qualcosa di più efficace per ricordare a voi stessi che ogni giorno è una lotta per tirare fuori la parte migliore di noi, per non cedere all’apatia e all’autoindulgenza, per andare avanti qualunque cosa accada e incassare a testa alta ogni colpo infertoci da quella quotidiana guerra che è l’esistenza fatemi sapere. Poi, certo, c’è anche il lato goliardico e cazzone. Quello di woman be my slave. Quello dell’intro di Warlord. Sono il primo a rendermi conto che sono anche culturisti ultracinquantenni con le mutande di pelliccia. Ma nella quotidiana guerra di cui sopra ci deve essere spazio anche per la birra e le tette, sennò sai che palle.

Ah, già, il disco. Si è beccato un sacco di stroncature. Quelli come noi che prendono la band sul serio, invece, non aspettavano altro. Ciò che me lo ha fatto amare da subito è proprio il suo essere così basilare e diretto. Gods Of War era stato, diciamo, il mio disco meno preferito dei Manowar. Troppo prolisso e sbrodolone. Non so perché abbiano fatto uscire per prima questa cosiddetta Hammer Edition in digitale per poi pubblicare l’album a settembre. Magari cambierà la produzione. Ma a me va bene anche così. Grezza, con il basso fracassone. Per quello che è l’approccio di The Lord Of Steel, anthemico e rock’n'roll come non era stato manco Louder Than Hell, il platter più vicino a livello filosofico, va strabene. Questi pezzi mi si sono stampati in testa al primo ascolto e non mi hanno più abbandonato. Riff semplici e scontati ma proprio per questo meravigliosi. Ritornelli da fomento immediato. Davvero non concepisco come in tour non stiano dando spazio a inni da stadio come la spettacolare Born In A Grave o la stessa title-track. Il fatto che non stiano probabilmente credendo appieno in questo lavoro mi destabilizza. Ok, non tutti saranno in grado di andare in solluchero per l’autocitazionismo spinto di Hail, Kill And Die o di esaltarsi per adorabili tic come l’AH! del ritornello di El Gringo. Certo, non sarà la loro prova migliore. La curiosamente sabbathiana Black List o il lentone di prammatica Righteous Glory (sono l’unico a cui l’arpeggio iniziale ricorda The Years Of Decay degli Overkill?) ogni tanto fanno premere il tasto skip anche a me. Ma chi se ne frega. È uscito un nuovo album dei Manowar e io sono contento. Disco dell’anno, a prescindere. (Ciccio Russo)

Questo umile articolo è dedicato alla memoria di Scott Columbus:

Take me to Valhalla.
Where my brothers wait for me
Fires burn into the sky
My spirit will never die


Aiutiamo un brother of doom

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Ed Barnard è il curatore di Doommantia, uno dei principali siti di riferimento per chi ama doom, stoner, sludge e compagnia riffeggiante. Ed Barnard qualche tempo fa ha avuto due infarti. Dato che siamo negli Usa, dove – come ci insegnano i The Exploited - you go to hospital/ you have to pay, Ed Barnard ha prima perso il lavoro a causa delle sue condizioni fisiche ed è poi stato sfrattato dalla sua casa di Aberdeen, Washington, avendo speso tutti i suoi risparmi per pagarsi le cure mediche. Ed Barnard è al momento senza tetto e in una situazione davvero di merda, sebbene stia continuando – Satana sa come – ad aggiornare il sito. Ed Barnard ha bisogno di una mano e noi tutti gliela possiamo dare acquistando la compilation Doommantia Vol. 1, contenente 39 brani di 39 band che hanno unito le forze apposta per aiutarlo. Cliccando qui potete ascoltarla in streaming e acquistarla per 7 dollari, che andranno tutti allo sfortunato brother of doom, ma se vi va potete offrire di più.


ORGOGLIO D’ELLADE

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Rotting_Christ_by_M_M_X

Devo scusarmi per la mia prolungata assenza dal blog ma ho un periodo piuttosto incasinato per vari impegni che non vi sto a spiegare. È un peccato, perché in questo periodo sono successe tante cose degne di nota, tipo lo scioglimento dei Before The Dawn (contrariamente a ogni previsione non in seguito al suicidio di lui), il disco di canzoni natalizie solo voce e organo di un Christopher Bowes più alticcio del solito, oppure la fantastica notizia che i Nightwish faranno un concept su Zio Paperone. Molto presto riemergerò dall’oblio e quantomeno il disco di Bowes lo recensisco. Ma mi sento comunque in obbligo di segnalare ai più distratti tra voi che è uscito un pezzo nuovo dei Rotting Christ; ed è bellissimo, tanto da farmi pronosticare un Rotting Christ disco dell’anno 2013  un mese prima che esca. Questa è la titletrack dell’imminente Κατά Τον Δαίμονα Του Εαυτού. Poi ditemi se non ho ragione.


NEWSTED – Metal (Chophouse Records)

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Newsted-2012

Che qua uno sarebbe tentato di partire con un attacco del tipo: se qualcuno si fosse ancora chiesto perché Hetfield e Ulrich non gli facessero mai scrivere una mazza, adesso ha la risposta. Però, oltre che banale, sarebbe insensato, ingiusto e anche un po’ da stronzi. Sarebbe insensato perché che il vecchio Jason non fosse ‘sto grande genio creativo si era già capito dai suoi side-project passati, quelli che furono tra le cause del suo allontanamento dai Metallica: dai grungettosi Echobrain ai Papa Wheelie fino alla roba più estemporanea tipo Sexoturica e IR8 (gruppo autore di un’unica cassettina, poi confluita in una sorta di split con gli stessi Sexoturica, che girava già quando frequentavo la quarta ginnasio e nella cui surreale formazione militavano Devin Townsend e Tom Hunting degli Exodus), tutti sforzi non disprezzabili ma nemmeno esattamente memorabili, che ascoltavi perché c’era Jason, dicevi ‘mbe sì, mica male, pensavo peggio, poi spegnevi lo stereo e te ne dimenticavi per sempre. Sarebbe ingiusto perché le quattro tracce di questo ep, prima uscita del power trio che porta il cognome  del bassista, non sono in fondo così brutte. Già dalla copertina (a metà tra Hello Kitty e Impaled Nazarene, come ha sottolineato Nunzio) e dal titolo minimalista (sul quale si potrebbe tirare su tutta una serie di considerazioni metafisiche che ho la creanza di risparmiarvi) si capisce che aria tira: qua il basso profilo non è una scappatoia ma un’autentica filosofia di vita. E sarebbe un po’ da stronzi perché, via, come si fa a non volere bene a Jason Newsted? Tutti vogliono bene a Jason Newsted. Con quell’espressione accigliata, gli occhi tristi, il sorriso tirato da bravo guaglione, è proprio il tizio che fareste sposare con vostra sorella.

newsted-metal(ep)Quel mesto giorno in cui venni in classe con la copia di Metal Shock che recava in copertina la prima foto dei Metallica con i capelli corti, le compagnucce mi presero per il culo, intuendo il mio disorientamento. L’unica cosa che potei ribattere fu: eh, però il bassista ce li aveva già corti da un pezzo. Quando, ai tempi di Load, Hammett si vestiva da pappone e Hetfield e Ulrich facevano il possibile per stare sui coglioni a tutti noi ragazzi che li avevamo portati in cima al mondo, Jason era l’unico appiglio per continuare a provare per i quattro di Frisco, se non devozione, almeno un briciolo d’affetto. Avvertivi empatia per tutte le angherie di cui si narrava. Dai taxi che era costretto a prendere da solo per recarsi ai concerti della band fino alle camere d’albergo devastate a sfregio, per arrivare al mixaggio del basso su And Justice For All…, che può anche essere visto come una forma raffinatissima e particolarmente crudele di bullismo. Dato che, da quel momento, i Metallica avevano deciso di estendere gli atti di bullismo all’intero pubblico heavy metal (testare il grado di esasperazione dei propri fan, scrivemmo a proposito di Lulu), come non avvertire empatia. Uscito Reload, ormai svuotato di ogni fiducia o speranza, lessi un’intervista dove Newsted diceva di essere conscio di non essere buono a scrivere canzoni come James e Lars. Il problema è che se le canzoni si chiamano Blackened o Enter Sandman è un conto, ma si stava parlando di Reload. Non so se sia stato già rivalutato dagli hipster, ma Reload è una cacata, perdio. Però stava nel personaggio. Perché Newsted è sempre stato l’incarnazione più compiuta dello stereotipo del bassista metallaro affidabile e solido ma totalmente estromesso dal processo compositivo. E uno ci riflette sul fatto che i dischi meno interessanti dei Voivod della reunion siano quelli dove suona lui. Però mi fece lo stesso un sacco piacere che Jason Newsted fosse entrato in uno dei miei gruppi preferiti. Se non ti sta simpatico Jason Newsted, probabilmente sei una persona che torturava i gatti da ragazzino o che ha in casa i libri di Andrea De Carlo.

Su Metal non c’è chissà cosa da dire. Un paio di brani sono abbastanza thrashettoni. Ovviamente ricordano i Metallica. L’attacco di Soldierhead potrebbe uscire benissimo da Death Magnetic e quando si incazzano paiono quasi i Testament. Gli altri due ci hanno i riffoni sabbathiani da birra sulla veranda a mezzogiorno, a metà tra lo stoner trucido e quella versione meno malpresa degli Alice In Chains che diventavano, a volte, gli Echobrain.  ‘mbe sì, mica male, pensavo peggio, ma mo’ spegnerò il pc e me ne dimenticherò per sempre. Un po’ come quando vai a vedere lo spettacolo di quella tua amica artistoide con la fissa dei teatrini off, che, sebbene abbia smesso di dartela, ci vieni lo stesso perché in fondo ti resta simpatica: tornato a casa, hai l’impressione di aver passato, tutto sommato, una discreta serata, ma se fossi rimasto imbustato nel letto strafatto a rivederti le puntate di Game Of Thrones, che mo’ che hai letto i libri vuoi controllare le incongruenze, beh, sarebbe stato ok lo stesso.


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